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Orlando Bloom, tra eroi fantasy e nuove identità nel cinema indipendente

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Dall’iconico elfo Legolas ai mari agitati dei “Pirati dei Caraibi”, Orlando Bloom è stato per anni uno dei volti più riconoscibili di Hollywood. Ma oggi, a 48 anni, l’attore britannico sembra voltare pagina con “Deep Cover”, una commedia britannica che segna il suo ingresso ufficiale nel cinema indipendente. In un’epoca in cui Bloom preferisce la calma di Santa Barbara ai riflettori di Los Angeles, l’attore si racconta con disarmante sincerità: la fama precoce, il desiderio di autenticità e una rinnovata passione per ruoli costruiti con attenzione e profondità.

Dagli archi agli occhi del pubblico: la corsa alla celebrità

La vita di Orlando Bloom cambiò drasticamente nel 1999 quando ottenne il ruolo di Legolas ne “Il Signore degli Anelli”, appena due giorni prima di laurearsi. Quel personaggio lo trasformò da sconosciuto studente di recitazione a star planetaria, seguito poi da ruoli cult come Will Turner nei “Pirati dei Caraibi” e Paride in “Troy”. Con ogni nuovo film, l’“It-boy” del cinema inglese si consolidava agli occhi del pubblico, mentre i tabloid rincorrevano ogni sua apparizione pubblica, tra gossip, relazioni e speculazioni.

Ma quel successo travolgente aveva un prezzo. Bloom ricorda la pressione incessante, i paparazzi, l’invadenza e il bisogno continuo di nascondersi. “Avevo un mucchio di cappelli da baseball”, racconta. “Andavo in moto solo per uscire di casa senza essere riconosciuto”. Una fama così istantanea, soprattutto negli anni 2000, non lasciava spazio all’intimità o alla libertà personale. Quegli anni lo hanno segnato, rendendo il desiderio di una vita più riservata non solo una scelta, ma una necessità.

“Deep Cover” e la riscoperta della commedia

Oggi Bloom si reinventa con “Deep Cover”, una commedia britannica in uscita su Amazon Prime. Diretto da Tom Kingsley, il film lo vede nei panni di Marlon, un attore disoccupato che finisce in una banda criminale fingendosi qualcun altro. Un ruolo nuovo per Bloom, che confessa: “Non avevo mai fatto commedie. Ma l’idea mi divertiva moltissimo”. La fonte d’ispirazione? Liam Gallagher degli Oasis. “Mi sono ispirato alla sua fisicità”, spiega. Il suo personaggio parla con un accento di Manchester, che l’attore ha mantenuto anche fuori dal set, a conferma del suo approccio “quasi method”.

Il film è un omaggio alla comicità costruita sul tempismo e la precisione. Bloom elogia i colleghi Bryce Dallas Howard e Nick Mohammed per l’alchimia sul set, e sottolinea come nonostante l’apparente leggerezza, “Deep Cover” non lasci spazio all’improvvisazione. “Ogni battuta è calibrata. Bisogna sapere dove guardare, come reagire”. In un’industria che lo ha visto spesso in ruoli drammatici o d’azione, questa svolta comica si rivela sorprendentemente naturale.

Dietro i riflettori: il metodo, la disciplina e le sfide personali

Lontano dal set, Bloom è un uomo disciplinato, che studia le battute con estrema precisione anche a causa della sua dislessia. Si prepara meticolosamente, e attribuisce grande importanza alla costruzione fisica dei suoi personaggi. Per interpretare un pugile in “The Cut” ha perso oltre 20 chili. “Mi piace entrare nel corpo del personaggio, sentire come si sentirebbe lui”, dice. Ammira attori come Christian Bale per la loro dedizione fisica, e condivide un percorso simile, fatto di sacrifici e trasformazioni.

Il metodo però, per Bloom, ha i suoi limiti. Non si identifica con quegli attori che “non escono mai dal personaggio”. Lui preferisce un equilibrio tra concentrazione e normalità. Anche in “Il Signore degli Anelli”, non girava per la Nuova Zelanda comportandosi da elfo. Ma riconosce il potere dell’approccio immersivo, come nel caso di Marlon in “Deep Cover”. Il confine tra attore e personaggio, per lui, è uno spazio di costruzione creativa, non di alienazione.

Oltre la fama: memoria, teatro e un nuovo sguardo su Hollywood

Tra i ricordi più preziosi della sua carriera ci sono i consigli di Ian McKellen sul teatro e la collaborazione con Johnny Depp nei “Pirati”. Vede nella relazione tra Will Turner ed Elizabeth Swann “il cuore della trilogia”, e considera “Kingdom of Heaven” uno dei suoi film meno compresi ma più significativi. “Ridley Scott era orgoglioso del film”, afferma. E anche se la versione distribuita non lo soddisfaceva, il director’s cut ha restituito dignità al progetto.

Il Bloom di oggi guarda avanti con uno sguardo ottimista. È affascinato dal potenziale del cinema indipendente e dalla possibilità di raccontare storie autentiche. Cita “Retaliation”, in cui ha interpretato un sopravvissuto di abusi, come una delle sue prove più importanti. “Mi sono sentito orgoglioso quando gli esperti hanno detto che era stato rappresentato in modo accurato”, ricorda. Per Bloom, la recitazione è uno strumento per raccontare verità, non solo per intrattenere.

“Tra vent’anni voglio guardare alla mia carriera ed essere orgoglioso dei personaggi che ho interpretato”, afferma Bloom. Oggi, non rincorre più il box office ma ruoli che abbiano significato. Sogna di lavorare con Scorsese, Nolan, Coogler, ma solo se la storia lo merita. Con un approccio calmo, buddista, paziente, Orlando Bloom è entrato in una nuova fase della sua carriera: meno clamore, più sostanza.

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