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Essere “marito di” oggi: un nuovo protagonismo gentile

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C’è chi desidera il centro della scena e chi, invece, abbraccia con serenità il ruolo di “marito di”. Oggi, nella società che evolve, emergono figure maschili che scelgono di stare accanto e non davanti, di sostenere senza oscurare. Questo nuovo modello, lontano dall’idea del capofamiglia, racconta un protagonismo diverso: discreto, consapevole, orgoglioso. Tra riferimenti storici e casi contemporanei, emerge l’identikit di un uomo che ha smesso di misurarsi col potere e si riconosce nella condivisione. Ecco perché essere consorti può essere non una rinuncia, ma un atto d’amore e una scelta di libertà.

Quando il centro della scena non è necessario

Fin da bambino, l’autore del pezzo racconta di aver avvertito una distanza istintiva dai ruoli principali. Nei giochi, nei film, nei libri: l’eroe muscoloso e sicuro non lo rappresentava. Preferiva i comprimari, le spalle comiche, i saggi ai margini. Anche nelle recite scolastiche, ricopriva ruoli secondari, imparando tuttavia anche la parte del protagonista, pronto a subentrare se necessario. Un episodio simbolico: la sostituzione dell’attore principale all’ultimo minuto, che segnò la sua consapevolezza nel ruolo del “quasi-protagonista”.

Col tempo, questa attitudine si è evoluta in una simpatia autentica per i “principi consorti”: figure accanto al potere, ma non del tutto escluse da esso. È una posizione che unisce responsabilità, dedizione e consapevolezza. Non è un ruolo di serie B, ma una forma alternativa di centralità. Il marito di una donna potente non è solo un comprimario, ma un collaboratore, un alleato, un custode. Una presenza fondamentale anche se mai dominante.

I principi consorti: storia di un ruolo controverso

Il primo “prince consort” ufficiale fu Alberto di Sassonia-Coburgo, marito della regina Vittoria. Intellettuale raffinato e amato dai sudditi, Alberto seppe interpretare magistralmente il suo ruolo: non un re, ma un compagno pienamente presente. Dopo la sua morte, Vittoria lo pianse per quarant’anni e gli dedicò numerosi monumenti. La sua figura rimane un esempio di quanto importante possa essere un consorte, anche senza corona.

Nel Novecento, Filippo di Edimburgo ha incarnato lo stesso archetipo, ma con una visibilità diversa, spesso più scomoda. Più vicini a noi, uomini come Leonard Woolf, Paul Child e Angelo Pellegrino hanno vissuto vite votate a supportare il genio e il talento delle proprie compagne. Figure spesso rimaste nell’ombra, ma senza le quali molte grandi donne non avrebbero avuto lo stesso impatto. In loro si riflette una nuova idea di maschilà: una maschilà relazionale, discreta, profondamente solida.

Il presente e il futuro del “marito di”

Nel nostro tempo, uomini come Alexis Ohanian rappresentano una nuova generazione di consorti. Marito della tennista Serena Williams e padre presente, Ohanian ha difeso pubblicamente il congedo di paternità, sottolineando come il modello tradizionale di uomo-capofamiglia sia ormai superato. In un celebre articolo sul New York Times, ha parlato dello stigma che ancora impedisce agli uomini di chiedere più tempo per la cura dei figli. La sua è una voce che rompe uno stereotipo e propone un modello più umano e condiviso.

Questo nuovo ruolo non toglie nulla, anzi restituisce. A livello personale, l’autore racconta di vivere con fierezza l’essere “marito di” una donna più stabile e brillante di lui. Non c’è competitività, ma ammirazione. Non c’è rinuncia, ma alleanza. In un mondo che ha bisogno di nuovi simboli d’amore, forse è proprio questa la vera rivoluzione: riconoscersi in un ruolo diverso, lontano dal mito dell’uomo solo al comando.

Il potere della condivisione: il vero lieto fine

C’è qualcosa di profondamente poetico nel farsi da parte per sostenere qualcun altro. Lo dimostrano anche i personaggi delle fiabe: i principi azzurri di Cenerentola e Biancaneve restano senza nome, senza tratti distintivi, ma ci sono. Sono lì per salvare, per accogliere, per credere. Non servono spade, cavalli o corone per essere protagonisti: basta avere le idee chiare, soprattutto sull’amore che si prova.

Essere “marito di” non significa scomparire, ma dare spazio. È un atto di forza, non di debolezza. Una consapevolezza che può cambiare il modo in cui vediamo le relazioni, il successo, la maschilà. In un’epoca in cui il protagonismo sembra una necessità, scegliere di stare un passo indietro può essere la scelta più radicale. E forse la più libera.

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