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Michèle Lamy: l’anti-musa che trasforma la vita in arte

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Strega, filosofa, designer, performer, ristoratrice, pugile, moglie di Rick Owens e sua partner creativa. Michèle Lamy non è una musa, è un universo a sé: inafferrabile, esoterica, trasformista. Dalla legge alla danza, dalle aule di tribunale ai cabaret, la sua esistenza è un collage di identità vissute e reinventate. Oggi, attraverso Lamyland, continua a riscrivere la propria narrativa, fondendo arte, moda e spiritualità. Un’icona senza tempo, che ha fatto della metamorfosi la sua cifra estetica e della ribellione la sua eredità culturale.

Una vita fuori dagli schemi: dall’avvocatura alla controcultura

Michèle Lamy è nata nel Jura francese da una famiglia di origini algerine, con un’eredità creativa che affonda le radici nei lavori sartoriali del nonno per Paul Poiret. Il suo percorso inizia tra i codici e le aule di giurisprudenza, per poi spostarsi verso i palchi oscuri dei cabaret, i salotti artistici di Los Angeles e l’estetica gotica che oggi definisce il suo personaggio pubblico. Appassionata di filosofia post-strutturalista, Lamy ha attraversato l’attivismo degli anni Sessanta prima di reinventarsi in ogni decade successiva. La legge, per lei, è stata solo un passaggio tra mille altre incarnazioni.

Dagli anni ’80 a Los Angeles, al fianco del regista sperimentale Richard Newton, ha creato spazi come il Café des Artistes e Les Deux Cafés, molto più che ristoranti: epicentri culturali dove la performance si fondeva con l’esperienza gastronomica. In un’America underground, Lamy ha saputo costruire un’estetica personale potentemente riconoscibile, al confine tra sciamanesimo urbano e avanguardia teatrale.

L’anti-musa di Rick Owens: amore e creazione condivisa

Il sodalizio con Rick Owens – sentimentale e professionale – è una delle alleanze più affascinanti del fashion system. Michèle fu la prima a credere nel suo talento, assumendolo per collaborare alla propria linea negli anni Novanta. Nel 2004, insieme, fondano Owenscorp, e nel 2006 si sposano. Vivono e lavorano a Parigi, su piani diversi dello stesso palazzo, orbitando uno attorno all’altro come due pianeti in equilibrio perfetto tra razionalità e intuizione.

Michèle è l’anti-musa: non ispira passivamente, ma agisce, costruisce, plasma. Cura i progetti speciali del brand, i gioielli, l’interior design. È anche l’anima segreta della mostra Rick Owens, Temple of Love, in corso al Palais Galliera, dove è stata ricreata persino la loro camera da letto californiana. Non è dietro Rick Owens: è accanto, è intorno, è dentro l’universo che hanno edificato insieme.

Lamyland e l’esoterismo del quotidiano

Lamyland è il nome del suo universo creativo: un luogo fisico e mentale dove convergono boxe, arte, performance e spiritualità. È lì che prende forma il suo talento multidisciplinare, attraverso installazioni immersive – come quella alla Biennale di Venezia – o attraverso progetti musicali come Lavascar, in cui canta con la figlia Scarlett Rouge e Nico Vascellari. È apparsa anche al fianco di A$AP Rocky, ulteriore prova della sua influenza culturale trasversale.

Ogni aspetto di Michèle è costruzione simbolica: dai denti dorati ai piercing da pirata, dai tatuaggi berberi alle dita nere tinte con pigmenti naturali. I suoi abiti – spesso neri, ma mai invisibili – sono sculture mobili, manifestazioni di potere, mistero e trasformazione. Non crede nel tempo lineare: vive in una simultaneità fluida dove ogni momento è una possibilità creativa. La boxe, che pratica da quasi quarant’anni, è per lei rito, resistenza e metafora: combattere per rimanere in piedi è una forma d’arte.

Il volto eterno della metamorfosi

Ciò che rende Michèle Lamy un personaggio irripetibile è la sua capacità di essere molte cose, tutte autentiche, tutte contemporaneamente. Tra stregoneria pop e lucida intelligenza filosofica, ha fatto della sua identità un atto performativo continuo. Si dice che abbia 1600 anni, che celebri messe nere, che sia una vampira boho. Ma Lamy è molto più reale di qualsiasi leggenda: è un manifesto di libertà, un’esperta di costruzioni che ama la boxe e che usa i vestiti per raccontare tutte le vite che ha vissuto.

In un sistema che tende a catalogare, semplificare e delimitare, Michèle Lamy è la conferma che l’identità può essere un processo infinito. Non una musa da contemplare, ma un oracolo vivente da ascoltare. E forse, da seguire.

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