Per anni abbiamo additato i giovani come i principali “colpevoli” dei problemi del web: assuefatti ai social, incapaci di autoregolarsi, sempre connessi. Una narrazione comoda, rassicurante per gli adulti. Ma ecco la verità scomoda: i dati mostrano che a comportarsi peggio online non sono i teenager, bensì gli adulti. Aggressivi, polarizzati, talvolta persino tossici: è la generazione che dovrebbe dare l’esempio a non reggere più l’impatto della rete. La domanda ora è: vogliamo davvero cambiare o continuare a ignorare il problema?
Cyberbulli a 50 anni: quando gli adulti perdono il controllo
Non sono più solo gli adolescenti a insultare e minacciare online. Uno studio del Royal Melbourne Institute of Technology ha rivelato che il 94% degli adulti intervistati ha ammesso di aver commesso almeno una forma di cyberbullismo. Una cifra schiacciante, soprattutto considerando che la metà lo fa abitualmente. Gli adulti, insomma, non sono spettatori innocenti ma protagonisti attivi del degrado digitale.
E gli effetti vanno oltre le offese. Secondo una ricerca su oltre 42.000 adulti americani, chi utilizza i social per gran parte della giornata manifesta livelli di irritabilità nettamente superiori. Ancora più allarmante: postare contenuti – invece che semplicemente guardarli – moltiplica il rischio di depressione, ansia e solitudine. I social, quindi, non stanno peggiorando solo il nostro modo di comunicare: stanno cambiando chi siamo.
Viralità tossica e cattivi esempi: perché gli adulti sono più fragili?
Cosa spinge gli adulti, teoricamente più “maturi”, a cadere nelle trappole del web? La risposta è inquietante: secondo Serena Mazzini, autrice de Il lato oscuro dei social network, gli adulti sono stati “addestrati” alla viralità, rincorrendo like e condivisioni a scapito dell’etica. Non solo i privati cittadini: anche politici e media giocano sporco, promuovendo contenuti divisivi, provocatori, perfino violenti.
Questo degrado culturale si riflette in comportamenti estremi, come quello recente di un professore che ha augurato la morte alla figlia della premier. Un caso limite? Forse. Ma anche la punta di un iceberg molto più profondo. Abbiamo trasmesso ai giovani strumenti potenti senza fornirgli le basi per usarli con coscienza – e nel frattempo ci siamo smarriti noi stessi, diventando esempi da non seguire.
Social come specchio deformante dell’umanità
La tossicità online non nasce dal nulla: è l’effetto collaterale di una trasformazione più ampia. Come sottolinea Mazzini, i social non sono un mostro esterno, ma una lente d’ingrandimento sui lati più bui della nostra umanità. Invidia, rabbia, solitudine: sentimenti ancestrali che la struttura stessa delle piattaforme amplifica e monetizza. Siamo vittime di un sistema che ci trasforma in contenuti, annullando empatia e riflessione.
Non è un caso che la politica stessa si sia adattata a questi meccanismi, alimentando una retorica basata sul conflitto continuo. Meme, slogan, attacchi personali: tutto diventa parte di un gioco al massacro che scivola rapidamente dai palazzi del potere alle bacheche dei cittadini. E se chi ha più responsabilità non dà il buon esempio, l’intero ecosistema diventa insostenibile.
La speranza ha il volto della Gen Z?
Mentre gli adulti si perdono nella rabbia e nella disinformazione, i giovani sembrano reagire. Secondo il Pew Research Center, il 44% degli adolescenti ha ridotto l’uso dei social e la stessa percentuale ha limitato lo smartphone. Un dato che parla di autoconsapevolezza, di una generazione capace di mettersi in discussione. Il 45% ammette di passare troppo tempo online, e molti sostengono sanzioni serie contro chi bullizza.
Ma non basta l’auto-regolazione dei più giovani. Per cambiare davvero, servono regole chiare, sì – ma soprattutto una rivoluzione culturale. Come suggerisce Mazzini, serve ripensare l’architettura stessa del web, riportando al centro trasparenza, etica, responsabilità collettiva. Non possiamo più delegare il cambiamento: tocca a tutti noi, adulti compresi, fare scelte consapevoli.
Vent’anni dopo la nascita di Facebook, siamo a un bivio. Possiamo restare schiavi di un sistema progettato per distrarci, dividerci e consumarci, oppure possiamo finalmente scegliere la liberazione. La tecnologia, in sé, non è il nemico. Ma se vogliamo davvero che il digitale ci serva – e non ci domini – dobbiamo trasformarlo. Con leggi, sì. Ma soprattutto con un’etica rinnovata. Perché il problema del web, oggi, non sono più i giovani. Siamo noi.