Con Il Mio Lato Peggiore, Luchè brucia le maschere e ci regala il suo lavoro più diretto, provocatorio e ambizioso. Un album manifesto che rifiuta i compromessi, abbraccia il conflitto e trasforma le cicatrici in arte.
Un Artista Senza Filtri: La Nascita de Il Mio Lato Peggiore
Luchè risponde alla chiamata da Miami, tra supercar e lusso, in un contesto che stride con l’asprezza emotiva del suo nuovo progetto. Il Mio Lato Peggiore non è un ritorno alle origini, ma il risultato naturale di un’evoluzione. Se Dove Volano Le Aquile era riflessione e introspezione, questo nuovo capitolo è diretto, ruvido, spigoloso. E tutto questo è intenzionale.
«Con le buone maniere, con il politically correct, oggi non cambia niente», mi dice con decisione. L’album non vuole piacere a tutti, non cerca l’approvazione. È un’opera nata per smuovere, per creare attrito. «Oggi tutti hanno paura di parlare. L’arte, la vita, la critica… tutto si è appiattito. Serve uno scossone, un cambiamento ideologico, verbale, emotivo.»
Ma attenzione: non si parla di violenza gratuita. Luchè parla di verità, di crudezza, di uno specchio che ci obblighi a guardarci in faccia senza filtri. La sua musica non è più solo uno sfogo personale, è una forma di lotta.
Tra Sincerità Brutale e Lusso Lirico
Il titolo Il Mio Lato Peggiore è volutamente provocatorio. Evoca un’immagine oscura, eppure per Luchè è proprio lì che si nasconde il meglio di sé. «Quando una persona è schietta, sincera, la gente lo vede come un difetto. Ma è proprio quel lato il mio lato migliore», spiega.
Il disco non rinuncia però alla raffinatezza. Le “luxury bars” – rime eleganti, piene di riferimenti a un immaginario fatto di club esclusivi, auto costose, lifestyle internazionale – sono presenti e potenti. Ma anche qui, il contrasto è tutto: un uomo che viene dalla strada ma vive il penthouse. Un artista che non ha paura di mostrarsi in tutte le sue contraddizioni.
Anche il processo creativo ha subito un’evoluzione. «Molti pezzi li ho fatti direttamente al microfono. Ho lasciato che il beat mi guidasse. È stato liberatorio, meno calcolato, più istintivo.» Un approccio che dà ai brani un’energia cruda e sincera, senza perdere precisione nei contenuti.
Criticare per Amore: Lo Sguardo sulla Scena Italiana
Luchè non risparmia critiche alla scena rap italiana. Ma non sono parole di disprezzo: sono il frutto di un amore profondo per un genere che sente spesso limitato da paure e insicurezze. «Mi fa arrabbiare il troppo individualismo. In Italia è difficile collaborare. Tutti si difendono come se avessero qualcosa da perdere, ma è solo rischiando che possiamo crescere.»
A confronto, dice, lavorare con gli americani è quasi più semplice. Sogna una scena italiana più aperta, coraggiosa, meno ingabbiata nelle formule melodiche. «Io nasco come producer, per me la musica viene prima del testo. Bisognerebbe fare uno step up nelle produzioni. Basta con la melodia “all’italiana” a tutti i costi. Quella non è evoluzione.»
Eppure, riconosce anche i progressi. «Il livello della musica italiana è alto. Ci stiamo giocando la partita con gli altri paesi europei.» Ma il pubblico, sottolinea, «è spietato. Si giudica tutto troppo in fretta. Servirebbe più tempo per capire davvero un progetto, soprattutto se c’è dietro ricerca.»
Un “Anno Fantastico” in Mezzo al Caos
Il singolo Anno Fantastico ha anticipato l’uscita dell’album. Un titolo apparentemente positivo, ma che nasconde un’ironia di fondo. L’anno appena passato è stato tutt’altro che facile: un divorzio, diss idi, pressioni psicologiche. Eppure, Luchè lo definisce “fantastico”. «Un anno fantastico può essere anche un anno difficile. L’importante è che sia pieno di stimoli», racconta. «Il mio incubo più grande è un anno piatto, morto. Se non vivo qualcosa, cosa metto nei pezzi?»
Qui sta il paradosso creativo di Luchè: riuscire a trasformare il dolore in arte. Le difficoltà diventano materia prima, carburante per un’opera che vuole scuotere, emozionare, lasciare il segno.
L’Album Come Manifesto: Un Concept Controcorrente
Nel mondo dello streaming, molti sostengono che l’album non abbia più valore. Luchè la pensa diversamente. Il Mio Lato Peggiore è un concept album nel senso più puro. «Per me è come un film: ha un inizio, uno sviluppo, una fine. L’intro ti prepara al viaggio.»
L’intro, come sempre nei suoi lavori, è un manifesto. Un portale. Un avvertimento. Non è una raccolta di pezzi, è un’opera coerente, costruita con cura. «Quando hai un concept, entri in un mondo. E io voglio portarti lì, anche se quel mondo è scomodo.»
Anche il metodo di scrittura si è evoluto. Più spontaneità, meno razionalizzazione. «Alcuni pezzi li ho scritti con un flusso libero, partendo dal flow che il beat mi suggeriva. È un approccio che ho capito anche lavorando con Geolier. Mi ha spinto a cambiare.»
Il Peggiore Come Verità
Il Mio Lato Peggiore è molto più di un disco. È uno specchio rotto che riflette una società ipocrita, una scena che ha paura di crescere, e un artista che ha scelto di essere vero a qualsiasi costo. Non cerca applausi, cerca reazioni. Non vuole consensi facili, vuole scosse.
In un’epoca dove tutti si proteggono dietro filtri, Luchè spacca tutto e si espone. E proprio in questo suo “peggiore” — così scomodo, così diretto — troviamo forse la sua parte migliore.Una parte che il rap italiano, oggi più che mai, ha bisogno di ascoltare.