A quarant’anni dalla nascita del primo ristorante ligure a New York, Paolo Secondo – cofondatore de I Tre Merli – racconta in un libro autobiografico le incredibili avventure di chi portò la cucina autentica di Genova nel cuore pulsante della Grande Mela, tra celebrità, imprenditori visionari, gangster e un’enorme passione per il buon vino.
Dalla Superba alla Grande Mela
Tutto inizia nel 1980, quando tre amici – Paolo Secondo, Fulvio Pierangelini e un terzo socio – decidono di aprire a Genova un ristorante in cui servire cucina ligure autentica, valorizzando piatti come i pansoti con salsa di noci, il coniglio alla ligure e l’intramontabile focaccia al formaggio, innaffiati da buoni vini locali. L’idea è chiara: creare un locale “vivo”, aperto dalla mattina alla sera, dove mangiare bene, bere meglio e divertirsi.
Cinque anni dopo, con lo stesso spirito pionieristico e tanta incoscienza, il progetto viene esportato a New York, in un periodo in cui la città, ancora segnata dalla crisi degli anni ’70, iniziava a risorgere sotto l’effetto del boom della moda italiana. «A Milano il design e la moda si stavano affacciando nel mondo, e New York era la tappa obbligata. Anche noi volevamo esserci, ma con il cibo», racconta Secondo. Il tempismo, si sa, è tutto.
Oltre Little Italy: una rivoluzione culturale
A differenza dei ristoranti italiani allora presenti in città, spesso ancorati ai cliché italo-americani, I Tre Merli puntano su autenticità e innovazione. I piatti sono sconosciuti alla maggior parte del pubblico americano, abituato a spaghetti al pomodoro e lasagne. Ma è proprio questa diversità a fare breccia: nel giro di pochi mesi, il passaparola porta clienti illustri. Da Madonna a Robert De Niro, da Gianni Versace a Andy Warhol, passando per Giorgio Armani e Claudia Schiffer, il locale diventa un punto di riferimento del jet-set newyorkese.
E intorno, il contesto è quello di SoHo degli anni ’80, fatto di artisti bohémien, giovani europei pieni di sogni (e di soldi), top model e “euro trash” che giravano il mondo per fare esperienza e magari sfondare. La cocaina, confessa Secondo, circolava ovunque: «Nonostante i controlli, toccava spolverare continuamente i bagni».
Il vino come cultura
Tra le rivoluzioni portate da I Tre Merli (e poi dal ristorante Barolo) c’è anche quella del vino italiano, e in particolare ligure. All’epoca, perfino a Genova, vini come il Vermentino erano poco conosciuti. Il team del ristorante viaggiava nelle Cinque Terre, a Dolceacqua e a Luni, selezionando piccole produzioni da proporre ai clienti americani. Il risultato? Un boom culturale: «Per un periodo, il Vermentino era il vino bianco più amato dagli intenditori a New York», racconta l’autore. E nel Barolo, con una carta da 1.500 etichette, dominavano Barolo e Barbaresco, ma anche bianchi liguri e piemontesi come l’Arneis.
Un successo sotto osservazione
Il trionfo de I Tre Merli non sfuggì a occhi più attenti, o meglio, più pericolosi. «La zona ovest di SoHo, tra West Broadway e Greenwich Village, era sotto il controllo della famiglia mafiosa Genovese», spiega Secondo. E benché il ristorante fosse italiano, il modello imprenditoriale moderno lo rendeva alieno a certi meccanismi: «Non eravamo assimilabili ai ristoranti mafiosi. Ci studiarono, ma capirono che eravamo altro». Qualche episodio ci fu – come la distruzione della facciata con un camion per una disputa sulla spazzatura – ma, tutto sommato, nessuna estorsione.
Con ironia, Secondo racconta anche lo scetticismo dei mafiosi davanti ai suoi piatti: «Uno di loro guardava i nostri pansoti e diceva: “Ma che cavolo è? Mettici un po’ di pomodoro, dai!”».
L’11 settembre e il declino
Poi arrivò l’11 settembre 2001, che cambiò tutto. A quel trauma seguirono la crisi del 2007 e un’escalation dei prezzi immobiliari che rese la gestione di un ristorante in centro Manhattan praticamente insostenibile. «Quando ci hanno chiesto 250.000 dollari al mese di affitto, abbiamo fatto i conti e deciso di chiudere», dice Secondo.
Nel 2013, dopo quasi trent’anni di attività, I Tre Merli salutano New York. Ma a Genova, la storia continua: alla sede originale si è aggiunto il grande ristorante al Porto Antico, dove la cucina ligure è ancora protagonista, con piatti preparati “come una volta” e una filosofia rimasta intatta.
La salsa di noci che nessuno copia
Tra tutte le specialità portate oltre oceano, ce n’è una che Secondo difende con orgoglio: la salsa di noci. «È semplice, buonissima eppure sconosciuta fuori dalla Liguria. Nonostante fosse uno dei piatti più venduti, nessuno l’ha mai copiata, tranne – per un breve periodo – il ristorante del Museum of Modern Art, dove, probabilmente, lavorava un cuoco ligure».
Una nota, questa, che chiude il cerchio. Perché I Tre Merli non sono stati solo un ristorante, ma un progetto culturale: un’avanguardia che ha fatto della cucina ligure una lingua internazionale, parlata tra i tavoli di SoHo, nei calici di Vermentino e nei ricordi ancora vivissimi di chi ha avuto la fortuna di sedersi a quel tavolo.
“Il re di SoHo” non è solo un libro di memorie, ma il racconto vivido e sincero di un’Italia coraggiosa, capace di conquistare il mondo a colpi di basilico, olio buono e acciughe del Mar Ligure.