A New York, tra le luci e i riflessi di Hudson Yards, debutta House of McQueen, spettacolo teatrale che intreccia moda e drammaturgia in un’esperienza immersiva e sorprendente. Diretto da Sam Helfrich e scritto da Darrah Cloud, lo show ha come protagonista Luke Newton, volto noto di Bridgerton, che qui veste i panni del celebre stilista britannico. Un’opera che non si limita a raccontare la vita di Alexander McQueen, ma la reinventa come viaggio emotivo e onirico.
La visione teatrale di Sam Helfrich
Sam Helfrich affronta la figura di McQueen con un approccio intimo e pittorico, trasformando la scena in una tela viva che cattura tormenti e genialità. Non si tratta di una biografia lineare, ma di un racconto che mescola memoria e immaginazione. L’ispirazione nasce dalla mostra Savage Beauty del 2011 al Metropolitan Museum, che ha segnato profondamente il regista. Per lui, McQueen non era solo moda, ma un linguaggio che fondeva dolore, bellezza e provocazione in un’estetica radicale.
Lo spettacolo diventa così un affresco visionario che attraversa le fragilità e le rivoluzioni creative dello stilista. Helfrich ha scelto consapevolmente di evitare il tono documentaristico, privilegiando invece la suggestione poetica. L’obiettivo era offrire al pubblico non una cronologia, ma un’esperienza emotiva. Attraverso proiezioni, costumi e scenografie mutevoli, House of McQueen restituisce la sensazione di entrare nella mente dell’artista, cogliendo la tensione continua tra estasi creativa e autodistruzione.
Un viaggio nella psiche di McQueen
La narrazione prende forma come memory piece, una composizione che parte dal momento della morte dello stilista per ricostruirne i ricordi più intensi. Non è il tempo cronologico a guidare la storia, ma quello interiore, fatto di lampi emotivi e visioni oniriche. Ogni scena diventa un’immersione nell’inconscio, tra simboli d’infanzia, paure e ossessioni che riaffiorano come presenze vive. Lo spettatore non osserva da fuori, ma viene trascinato in un oceano interiore, dove ogni immagine assume la forza di un ricordo amplificato.
L’effetto è quello di un viaggio in una mente in continuo tumulto, capace di generare bellezza e al tempo stesso di autodistruggersi. McQueen rivive come figura tormentata, divisa tra la necessità di creare e il peso dei propri demoni. Il teatro diventa allora lo spazio liquido in cui i sogni si intrecciano con la realtà, un abisso emotivo che risucchia il pubblico. È un’esperienza che riflette l’essenza dell’artista: fragile, visionario, spietatamente autentico.
Costumi e scenografie come linguaggio interiore
In House of McQueen, i costumi non sono semplici repliche degli abiti iconici, ma strumenti drammaturgici che raccontano stati d’animo ed evoluzioni interiori. Ogni capo diventa una metafora: corazze che proteggono, ferite che si trasformano in estetica, ricordi che prendono forma attraverso tessuti e linee. Questo approccio simbolico consente di condensare decenni di creatività in pochi cambi mirati, mantenendo intatta la potenza narrativa del linguaggio visivo di McQueen.
La scenografia si affida a una parete LED retroilluminata che muta continuamente, creando un ambiente immersivo e fluido. Il palcoscenico diventa atelier, passerella, infanzia e ossessione, trasformandosi di volta in volta in base ai pensieri evocati. Questa dimensione in costante movimento riflette il caos creativo dello stilista e amplifica l’esperienza dello spettatore, che si trova immerso in un universo dove arte e memoria convivono. È un teatro che respira, capace di fondere tecnologia e poesia visiva.
Luke Newton tra metamorfosi e intensità
Per Luke Newton, House of McQueen rappresenta una svolta artistica importante. L’attore, conosciuto per il ruolo romantico di Colin in Bridgerton, qui abbandona i tratti rassicuranti del costume drama per affrontare un personaggio reale e complesso. Non imita McQueen, ma lo interiorizza, trasformando il corpo, la voce e lo sguardo in strumenti per dare vita al suo tormento e alla sua genialità. La sua interpretazione diventa veicolo di emozioni, capace di rendere palpabile la fragilità dietro la leggenda.
Lo spettacolo attraversa momenti cruciali della vita dello stilista: le prime esperienze a Savile Row, l’ascesa da Givenchy, le notti insonni trascorse a disegnare collezioni come urgenze vitali. Ogni scena porta in superficie il conflitto tra l’ascesa professionale e la distruzione personale. Newton riesce a incarnare questa tensione senza cadere nell’imitazione, offrendo invece un ritratto autentico e intenso. Il pubblico assiste così a una metamorfosi totale, in cui l’attore diventa medium di una figura irripetibile.