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Max Mara, la sfilata Resort 2026 alla Reggia di Caserta: tutti i look in passerella

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Il direttore creativo Ian Griffiths firma una collezione che intreccia l’anima dell’Emilia con l’eleganza di Napoli, portando Max Mara nella cornice teatrale della Reggia di Caserta. Una sfilata che fonde il classicismo borbonico con la sartoria contemporanea, dove le stanze del potere diventano passerella per silhouette misurate, completi rigorosi e mantelle che ondeggiano tra affreschi e scaloni marmorei. La Resort 2026 è un omaggio all’Italia profonda, tra memoria e modernità.

La Reggia di Caserta come palcoscenico di modernità silenziosa

Scegliere la Reggia di Caserta come location per la sfilata Resort 2026 significa rileggere un monumento barocco sotto la lente dell’eleganza misurata. Lungo lo Scalone Reale e nella Sala del Trono, la collezione Max Mara si inserisce senza mai sovrastare l’architettura storica, instaurando un dialogo raffinato tra moda e patrimonio artistico. L’effetto è quello di un equilibrio armonico tra monumentalità e leggerezza, tra colonne secolari e tessuti fluttuanti.

Non è solo una questione scenografica, ma narrativa: ogni look sembra nascere da un angolo della Reggia, come se ne assorbisse i silenzi, i decori, la storia. Ian Griffiths orchestra un racconto visivo dove il fasto si fa sobrio, dove la magnificenza borbonica incontra l’essenzialità del tailoring moderno. L’heritage partenopeo diventa così fonte viva di ispirazione, non solo sfondo decorativo.

Tailleur destrutturati e cappe monacali in palette rarefatte

Al centro della collezione c’è la sartoria. I tailleur di Max Mara, mai rigidi né didascalici, assumono qui una nuova fluidità: destrutturati, scivolati, alleggeriti da tessuti impalpabili come le lane fredde e le sete tecniche. Le cappe monacali, emblema di protezione e autorità silenziosa, scendono lungo le schiene delle modelle come armature morbide, avvolgenti ma non invasive, segno di una femminilità che non chiede il permesso per imporsi.

La palette – composta da beige cipriati, grigi madreperla, tocchi di blu reale e cenni seppia – rimanda alla luce che filtra nei corridoi della Reggia. Ogni colore sembra riflettere un dettaglio architettonico: l’intonaco, il marmo, la tappezzeria. Griffiths non si lascia tentare dai contrasti forti, ma sceglie la via della rarefazione, del tono su tono, del sussurro cromatico.

L’influenza napoletana: foulard E. Marinella e ricordi aristocratici

Una delle intuizioni più affascinanti di questa collezione è l’inserimento del micro-motivo E. Marinella: il brand iconico della cravatteria napoletana presta le sue stampe a camicie e foulard femminili, trasformando un simbolo maschile in accento sofisticato. È un gesto che racchiude tutto il senso della collezione: prendere un codice tradizionale, destrutturarlo e riproporlo con nuova grazia.

Questi dettagli, che potrebbero passare inosservati a uno sguardo veloce, diventano invece snodi fondamentali del racconto estetico. Il foulard non è solo accessorio, ma memoria di un’eredità familiare, di una cultura del vestire che a Napoli è ancora molto viva. La sartorialità del Sud si fonde con la disciplina emiliana di Max Mara, creando un equilibrio inedito e rispettoso.

Quando la moda si accorda con l’arte e il tempo

Non è un caso che nella stessa Reggia si trovi la collezione Terrae Motus, dove opere di Andy Warhol e Keith Haring dialogano con l’arte antica. Max Mara entra in questo contesto con la stessa delicatezza curatoriale, inserendosi senza mai forzare la scena. La moda si fa quasi installazione temporanea, performance silenziosa che rispetta il tempo e lo spazio.

Il messaggio finale è potente nella sua semplicità: la modernità non urla, non invade, ma si insinua con intelligenza nei luoghi della storia. E la Resort 2026 di Max Mara ne è la dimostrazione più chiara, ricordando che la vera eleganza non ha bisogno di effetti speciali, solo di contesto, cura e coerenza.

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