Dal 25 giugno 2025 all’11 gennaio 2026, il Musée des Arts Décoratifs di Parigi ospita “Paul Poiret, la mode est une fête”, una grande retrospettiva dedicata al couturier che ha segnato la Belle Époque con la sua visione rivoluzionaria. Con oltre 550 oggetti esposti, la mostra racconta l’universo di un artista che ha liberato la moda dal passato, unendo arte, profumi, design e mondanità in uno stile inconfondibile. Un’immersione nell’estetica eclettica di uno spirito larger-than-life.
L’uomo che vestì un’epoca
Paul Poiret non è stato solo un couturier, ma un autentico creatore di immaginari. Dal 1903 al 1924, ha ridisegnato la silhouette femminile, eliminando il corsetto e abbracciando forme fluide ispirate all’Oriente e alle avanguardie artistiche. La sua moda non si limitava agli abiti: includeva interni, profumi, packaging. Un universo coerente, declinato attraverso progetti come l’Atelier Martine, Les Parfums de Rosine e collaborazioni con artisti del calibro di Raoul Dufy e Louis Sue.
La mostra al MAD mette in scena questa visione totale, unendo le sue creazioni più iconiche a documenti, illustrazioni, oggetti d’arredo e flaconi di profumo. Il titolo della sua autobiografia, En habillant l’époque, appare oggi come un’affermazione lucida e non come un’iperbole. Poiret ha effettivamente vestito – e influenzato – un’intera epoca, lasciando un’impronta indelebile nella storia della moda.
Moda come spettacolo e stile di vita
Le feste organizzate da Poiret, come la leggendaria Mille et Deuxième Nuit, erano veri e propri eventi culturali, pensati per stupire e coinvolgere. La mostra rende omaggio anche a questo spirito festoso, alla sua capacità di trasformare ogni momento in una celebrazione dell’estetica. Gli abiti in mostra, ispirati ai Ballets Russes e ai suoi viaggi nel Maghreb, sono esempi perfetti di una moda teatrale, pensata per donne iconiche come Isadora Duncan, Sarah Bernhardt e Peggy Guggenheim.
Ma la spettacolarità non era fine a sé stessa. Poiret considerava l’arte come parte integrante del suo processo creativo. La mostra presenta anche la raffinata scenografia curata da Anette Lenz, che restituisce la vitalità e l’ironia del couturier. Il suo lavoro, spiega la curatrice Marie-Sophie Carron de la Carrière, è ancora oggi capace di far sorridere, sorprendere, emozionare. Una lezione di libertà che resta attuale.
Arte, profumi e utopie educative
Poiret fu anche un precursore nel pensare alla moda come progetto educativo e culturale. Con l’Atelier Martine, fondato nel 1911, coinvolgeva giovani ragazze senza formazione artistica nella creazione di motivi tessili, ispirandosi all’arte naif e all’estetica del Doganiere Rousseau. Questi disegni spontanei diventavano parte delle sue collezioni, rivelando una sensibilità nuova verso l’autenticità e la diversità espressiva.
Allo stesso modo, i profumi di Les Parfums de Rosine erano legati a ogni collezione e confezionati in flaconi dipinti a mano. L’approccio multidisciplinare di Poiret anticipa le logiche del branding contemporaneo, ma anche una certa idea di sostenibilità: Atelier Colin, dedicato al packaging, e l’uso creativo di materiali preesistenti ricordano da vicino pratiche oggi tornate centrali come l’upcycling. In questo senso, Poiret è stato anche un precursore silenzioso del design etico.
Un’eredità che parla ancora al presente
La sezione conclusiva della mostra evidenzia l’enorme influenza di Poiret su generazioni di stilisti successivi. Dai capi di Dior e Schiaparelli fino ai lavori di Christian Lacroix e Martin Margiela, si rintraccia un fil rouge che collega la sua audacia formale alle ricerche più recenti. In particolare, Margiela viene accostato a Poiret per l’uso di materiali riciclati e la pratica del collage, molto simile alla costruzione sartoriale del couturier parigino.
Il fascino di Poiret resta intatto anche perché è stato capace di coniugare avanguardia e desiderio, arte e quotidianità, sogno e industria. Nella mostra, una celebre foto di Peggy Guggenheim in abito Poiret scattata da Man Ray rappresenta perfettamente l’eco culturale della sua opera. Non si tratta solo di abiti, ma di visioni: un modo di pensare la moda come linguaggio capace di abitare l’arte, la vita e il futuro.