Nel cuore maestoso del Palazzo dei Papi, Nicolas Ghesquière ha intrecciato memoria, moda e magia per svelare la nuova collezione Cruise 2026 di Louis Vuitton. Un’opera di sartoria e visione che accende i riflettori sul potere evocativo del passato medievale, reinterpretato in chiave cyber-gothic. Tra architetture solenni e suggestioni contemporanee, la sfilata ha restituito allo spettatore un viaggio estetico e sensoriale.
Il palco del sacro: Avignone tra storia e spettacolo
La scelta della Cour d’Honneur del Palazzo dei Papi non è stata casuale: Ghesquière ha voluto omaggiare Jean Vilar, figura rivoluzionaria del teatro francese e fondatore del Festival di Avignone. Il cortile, dove ogni luglio si celebra il teatro d’autore, è diventato per una sera la passerella del futuro. Un connubio che parla di radici profonde e di vocazione al cambiamento.
«Amo la visione rivoluzionaria di Vilar», ha dichiarato lo stilista, «la sua volontà di trasformare l’impossibile in scena viva. Anche la moda oggi è teatro, è rappresentazione». Questo pensiero ha guidato l’intera sfilata: un dialogo tra epoche, un omaggio alla forza trasformativa dell’arte. La sacralità dello spazio si è fusa con la vitalità del gesto artistico, in un equilibrio scenico di rara intensità.
Racconti d’infanzia e lampi di genio creativo
Ghesquière non ha nascosto il legame personale con il luogo: il suo primo incontro, nel 2000, con l’arte contemporanea al Palazzo dei Papi lo segnò profondamente. «Bill Viola, Pina Bausch, Björk… un’esperienza travolgente. Un contrasto che mi ha aperto gli occhi sul potenziale visionario degli spazi storici». Quella visita è rimasta impressa come un punto di svolta nell’immaginario dello stilista.
Da questo mix di ricordi e ispirazioni nasce una collezione che unisce sacralità e ribellione. I 45 look presentati oscillano tra fasto liturgico e spirito glam rock, evocando icone come Giovanna d’Arco e Janis Joplin, Bowie e le sorelle Haim, in un collage che sovrappone Excalibur e Woodstock. Le influenze si sovrappongono in un caleidoscopio di riferimenti che è insieme intimo e universale.
Moda come arte: materiali, silhouette e simbolismi
Lavorazioni raffinate su damaschi effetto lamé, giacche jacquard intrecciate con fili metallici, mini abiti che riflettono la luce, mantelle in cashmere e casule trasformate in abiti: la collezione sfiora l’haute couture. La pelle goffrata brilla sui cappotti, mentre le borse raccontano storie di artigianato e tradizione. Nulla è lasciato al caso: ogni tessuto, ogni taglio è frutto di una ricerca profonda.
Ogni dettaglio è un tributo al savoir-faire della maison, dagli elementi delle iconiche valigie ai “cappucci” sulla pelletteria. Tra i pezzi unici, spiccano le borse in legno disegnate da Thomas Roger, giovane artista che Ghesquière ha voluto celebrare come simbolo del futuro dell’artigianato. Una sinergia che parla di continuità e di passaggio generazionale, di rispetto e di evoluzione.
Scenografie sovvertite e melodie evocative
L’artista Es Devlin ha firmato una scenografia che ribalta i codici: gradinate vuote e pubblico sul palco, per restituire allo spettatore lo sguardo dell’attore. Persino i sedili del conclave sono stati ricreati, in un gioco di simulacri e significati. La narrazione visiva si è fusa con l’architettura gotica, in un racconto che ha oltrepassato la semplice messa in scena.
La colonna sonora di William Sheller, con il brano “Excalibur”, ha infuso emozione e nostalgia. Le scarpe, vere e proprie sculture di cristalli e specchi, hanno completato un tableau vivant che ha incantato il pubblico. Tra gli ospiti, Brigitte Macron, Cate Blanchett ed Emma Stone hanno applaudito con trasporto, suggellando il successo di una serata che resterà nella memoria della moda. Una standing ovation meritata per uno show che ha saputo coniugare eleganza, audacia e poesia.